Il Premio Confartigianato Cultura 2021, rappresentato da un’opera in ceramica di Giosetta Fioroni, una delle più grandi artiste italiane contemporanee, è andato ad Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e presidente del Gruppo Cassa di Risparmio di Ravenna, uomo di cultura, nonché stimato studioso del Risorgimento. La cerimonia, preceduta dall’Inno nazionale, si è svolta sabato 23 ottobre 2021 a Bologna, nella sala Sala del Cubiculum Artistarum del Palazzo dell’Archiginnasio.
“L’Artigianato è una osmosi continua tra la futura capacità di realizzazione e la capacità di sviluppare imprese, ed è questo un mondo nel quale l’Italia eccelle – ha detto Antonio Patuelli -. Un mondo che in Italia è assolutamente protagonista. Se l’Italia è fatta di tante storie, ha tanti aspetti che vengono dalle sue radici, che hanno una loro conservazione e al tempo stesso una rielaborazione continua, è anche merito del mondo dell’artigianato che ha la sua capitale in Italia. Dobbiamo essere consapevoli della nostra storia non solo in termini contemplativi, ma anche in termini dinamici, avendo la capacità di valorizzare storia e cultura con iniziative di impresa e di sviluppo che in termini complementari possono tenere tutto assieme. Questa è la nostra potenzialità”.
“Abbiamo attraversato un momento difficile del Paese a causa della pandemia. Gli imprenditori che non potevano lavorare non sono rimasti seduti ma hanno operato cercando di progettare la ripartenza che oggi è davanti agli occhi di tutti – ha affermato Amilcare Renzi, Segretario di Confartigianato Emilia-Romagna -. Ci ritroviamo in questa occasione nella consapevolezza, ben chiara a tutti noi, che non ci può essere economia senza cultura. L’arte, la cultura e la storia contribuiscono all’identità delle comunità e, non meno importante per noi, sono un motore inesauribile di opportunità di lavoro per le filiere che rappresentiamo”.
L’intervento di Patuelli
“Per me è un onore essere qui oggi per ricevere questo premio. Una giornata che mi sta offrendo intense emozioni. Intanto sono a Bologna, mia città natale, ricordo di tante esperienze e di tante attività. Siamo nel Palazzo dell’Archiginnasio, nella sede storica dell’Accademia Nazionale dell’Agricoltura dove aleggia un po’ lo spirito di mio padre, che è stato negli organi dell’Accademia per tanti anni. Sempre in questo edificio si trovano la biblioteca e l’archivio di un padre della patria come Marco Minghetti. E poi l’emozione di essere ospite di Confartigianato, accanto a tanti amici con i quali abbiamo condiviso percorsi comuni”.
Patuelli ha affrontato molti dei temi in discussione oggi, a cominciare dal concetto di sostenibilità. “Oggi si parla tanto di sostenibilità, lo sforzo che dobbiamo fare è di coniugare questo concetto e non farne un totem, una parola magica. Sostenibilità è la capacità di tenere insieme memoria storica, sviluppo, tutela dell’ambiente e della salute. Ciò è possibile, e la storia dello sviluppo dell’Emilia-Romagna dal dopoguerra ad oggi lo dimostra. Parliamoci chiaro, questa regione non ha giacimenti minerari, non ha le Dolomiti, non ha il mare trasparente come la Sardegna o il Salento; anzi ha un territorio per lunghi tratti paludoso, l’ultima bonifica è stata completata nel 1962 e ancora oggi abbiamo la maggior superficie di terreni paludosi in Italia. Questa è una regione che è uscita sconvolta dalla Seconda Guerra Mondiale. Una regione che ha vissuto non più tardi di 35 anni fa la drammatica vicenda dell’eutrofizzazione delle acque dell’Adriatico. Ebbene abbiamo affrontato tutto questo fino a fare dell’Emilia-Romagna la seconda regione più ricca d’Italia, grazie alla grande volontà di lavorare, al rispetto per le attività altrui in una complementarietà che è sostenibilità ante litteram. Ecco: la sostenibilità la si raggiunge lavorando, rispettando gli altri e la natura umana”.
Dalla sostenibilità alla cultura, vista come lo strumento principale per vincere ogni tipo di conflitto.
“Non bisogna essere i più forti, i più potenti per essere i più bravi. Sono il mercato, la realtà, i fatti, la verifica sul campo a dimostrare chi sarà il più bravo. Ma per ottenere questo occorre avere dei principi. Questo è il punto chiave. Luigi Einaudi ci ha insegnato a ‘conoscere per deliberare’. Conoscere non significa consultare i sondaggi e andargli dietro, è un errore assolutamente da evitare. Bisogna conoscere esattamente cosa dice la gente, non basta seguire le tendenze, bisogna avere uno spirito critico, che deve essere costruttivo e non preconcetto, avere una forte capacità di analisi. Bisogna avere la capacità di guardare dall’alto per anticipare i fenomeni e non restare in coda”.
E per riuscire ad agire al meglio occorre avere un metodo. “Voi me lo insegnate, le attività artigianali sono tutte basate sul metodo. L’artigianalità è combinare la cultura dell’ideazione con un metodo. Per studiare serve un metodo, per lavorare serve un metodo. Un metodo che sia fornito al tempo stesso di consapevolezza e responsabilità, senza eccedere in consapevolezza, perché se uno ritiene di essere consapevole al 100% non ha sensibilità per i propri limiti. L’educazione è un fattore permanente, non ci si deve mai fermare, anche nell’età più avanzata, altrimenti non si cresce, non ci si aggiorna, non si evolve. I cervelli devono continuare a funzionare, perché se funzionano anche il corpo ha delle conseguenze positive. Poi i cervelli devono sfregare tra loro, nella dialettica, nel dialogo, perché così producono delle scintille che danno vita a idee e ragionamenti. Il metodo è ragionamento, il metodo della ragione, della costruttività, della ricerca. Il metodo vale per tutto ciò che è vita umana, è rifiuto del disordine come banalità di funzionamento. Una delle carenze che abbiamo nella democrazia della seconda parte della Repubblica è quella di metodo, che porta a mettere in discussione tutto e sempre”.
L’Italia si trova ad affrontare una nuova fase, con l’esigenza di cambiare passo però, ha detto Patuelli: “non dobbiamo parlare di cambiamento, il cambiamento al singolare è un errore concettuale, i cambiamenti sono la verità dei fatti. Il mondo non è fermo, il cambiamento in sé non c’è mai stato, è un qualcosa che viene da prima e si è sviluppato nel tempo. Ecco allora i cambiamenti, che sono quotidiani, non uniformi, accentuati in alcune fasi, più lenti in altre. Quando si parla di cambiamento vuol dire che non si hanno le idee chiare, si ha confusione. E torniamo al metodo. Bisogna avere un metodo per affrontare e governare i cambiamenti, un metodo non paralizzante, non diseducativo, un metodo costituzionale. La seconda parte della Costituzione deve tendere all’applicazione dei principi della prima parte, che per fortuna non sono stati modificati. Voi direte che sto raccontando delle banalità, ma sono quelle ‘banalità’ che dovrebbero essere insegnate nelle scuole, a tutti, anche a coloro che vogliono diventare italiani, agli immigrati, perché la Costituzione della Repubblica ha in sé i germi delle culture”.
In conclusione un pensiero alla stretta attualità: “L’Italia è in un momento magico, un Paese molto flessibile, molto duttile, che sta riprendendosi con un’energia simile a quella degli anni degasperiani, che rappresentarono una sorpresa in tutta Europa. Non dobbiamo correre il rischio di fare l’errore, tipico dell’Italia, di mettere in discussione tutto e sempre. Finiremmo per paralizzarci. Dobbiamo invece correre, bisogna utilizzare al meglio il tempo che abbiamo di fronte. Arriveranno delle risorse che sono un multiplo di quelle del piano Marshall, una sorpresa nella qualità e nella dimensione, ma non sediamoci sugli allori e cerchiamo di utilizzarli nel migliore dei modi. L’Italia è un Paese che ha ancora molte povertà che dobbiamo ridurre, ma ha anche molte ricchezze, una grande quota di risparmi che dovrebbero essere indirizzati verso investimenti produttivi. Oggi, purtroppo, gran parte del risparmio viene investito all’estero, occorre trattenerlo e semmai attrarne anche da fuori confine. Ma per farlo occorre agire sulla pressione fiscale verso le imprese, che oggi è superiore di 4 punti alla media europea, e sul capitale, che è 6 volte superiore. Quindi bisogna assolutamente andare verso una omogeneizzazione della pressione fiscale tra i Paesi europei, per evitare concorrenze sfrenate e guerre economiche. E finché non si arriverà a questa omogeneizzazione, dovremmo avere una pressione fiscale più bassa. È l’unico modo per essere gli artefici di un nuovo miracolo economico che porterà frutti a tutti noi, all’Europa e anche alla solidarietà internazionale”.